L’Italia di Marchionne riparte dall’America di Marchionne

Nelle ultime settimane si fa un gran parlare di “Italia che riparte” o di “Italia che deve ripartire”. C’è un uomo, un imprenditore, che per il nuovo anno si è fatto anche crescere la barba pur di dare il suo contributo. E già che c’era, si è messo anche una bella sciarpetta, anzi, una sciarpona. Si chiama Sergio Marchionne. In tempi di governo tecnico, di lacrime e sangue, di pescatori, camionisti, e Bersani che beve da solo la birra prima di un importante discorso, ecco che la Fiat ci propone la sua formula per il rilancio. Con la nuova Panda. Che è uguale a quella di prima, ma ha i gruppi ottici arrotondati come una vecchia Matiz. E che parla, ovviamente, americano. Vediamo perchè.

“Ma quante Italie conosciamo? Quella dell’arte, della grande inventiva, quella del talento, quella dei giovani che cercano un futuro, quella capace di grandi imprese industriali”.

Recita il nuovo spot Fiat. E ancora:

“Noi possiamo scegliere quale Italia essere (…) è il momento di decidere di essere noi stessi o accontentarci dell’immagine che ci vogliono dare”.

Parole di Mario Monti? Del ministro Fornero? Di Piero Angela? O di Giorgio Panariello?

No, di Marchionne, appunto. Un Marchionne che ormai ci aiuta a capire dove stiamo andando e, forse, anche quando.

Nel 1980, più o meno. Nell’Italia che guarda all’indietro, per non guardare avanti. Che si tinge di orgoglio nel presentare (cosa?) la nuova Panda. Un’auto, un perchè. Marchionne ci porta a Pomigliano, suggerendoci che là dove tutto è iniziato, tutto riparte. Cioè là dove lui ha dato un’occhiata via Skype (è il futuro, ça va sans dire) ed ha pensato di chiudere tutto (manco fosse Chef Ramsay), adesso invece ci porta con la pubblicità, con la comunicazione.

“perché in Italia ogni giorno c’è qualcuno che si sveglia e mette nel suo lavoro il talento, la passione, la creatività ma soprattutto la voglia di costruire una cosa ben fatta. Le cose che costruiamo ci rendono ciò che siamo. Questa è l’Italia che piace”.

Grazie Marchionne. Grazie anche se tu non vuoi che ti “si dica grazie”. Un abbraccio, (nel senso del biscotto), anche da parte della Fiom.

Ma dove ricomincia questa Italia del passato che guarda al passato per andare verso il futuro? Dove va questo “made in Italy” che sempre di più mi dà il voltastomaco, non come concetto, quanto come rituale verbale, come usurato e usurpato modo di dire che vuol dire tutto e forse niente?

Dall’America. Dagli Stati Uniti tanto cari a Mr Fiat. Non diciamo da Obama, perchè si offenderebbe. Dalla Jeep, dal mitico  Grand Cherokee, che è legato – per un gioco di scatole cinesi, o per la “mura” – proprio al colosso Fiat-Chrysler. Alé.

Ora, fate bene attenzione a questi due spot.

Il primo è quello della nuova Fiat Panda, presentata in pompa magna, manco fosse la soluzione che abbassa lo Spread e mette in salvo Italia, Euro e pure l’Isola dei Famosi.

“Le cose che costruiamo ci rendono ciò che siamo”.

Ora date uno sguardo al nuovo commercial della Jeep Cherokee. Notare che è di almeno un anno fa.

“The things we make, Make Us”.

Serve una traduzione dello speech, dello slogan? Riascoltate la pubblicità della nuova Panda.

Un anno dopo, gli stessi concetti. Tanta voglia di “made in Italy”. E di un salto nel Midwest. Per dire.

D’altra parte, come recita lo spot della Panda: “Questa è l’Italia che piace”. Un po’ come la sciarpetta da circolo Arci e la barba da filosofo di cordon bleu di Marchionne.

Il punto non è più (allora) se l’Italia avesse bisogno di Marchionne. Ma se ne avesse bisogno l’America. “Sergio Marchionne. Questo è il problema”.

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